Vincere, perdere o morire by AA VV

Vincere, perdere o morire by AA VV

autore:AA VV [VV, AA]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
pubblicato: 2014-10-02T22:00:00+00:00


L'ultima partita

di Harry Kemelman

Era venerdì, il giorno della partita a scacchi con Nicky. Era una consuetudine iniziata all'epoca in cui ero entrato alla facoltà di giurisprudenza e non interrotta neanche quando rinunciai all'insegnamento per diventare procuratore distrettuale. Avevo appena annunciato "scacco matto" in tre mosse, vincendo così la terza partita della nostra abituale sequenza di tre.

Le folte sopracciglia bianche di Nicky si avvicinavano sempre più l'una all'altra mentre esaminava l'angolo della scacchiera dove era concentrato il mio attacco. Seguì un rapido cenno del capo a significare un'ammissione di sconfitta.

«Avresti potuto evitarlo», gli feci notare, «bastava avanzare con il pedone».

«Immagino di sì», replicò e gli occhietti azzurri brillavano divertiti, «ma sarebbe servito soltanto a prolungare la partita e quella posizione stava cominciando ad annoiarmi».

Nicky, ovvero Nicholas Welt Snowden, professore di letteratura inglese all'università, riusciva a essere talvolta il più esasperante degli uomini. Sebbene più anziano di me di soli due o tre anni, mi trattava con la tolleranza compiacente di un professore verso una matricola d'intelligenza mediocre. E io, forse a causa dei capelli prematuramente bianchi (i miei stavano appena cominciando a imbiancare sulle tempie) e di quel suo volto pieno di rughe da gnomo che lo faceva sembrare più vecchio, sopportavo in silenzio.

Stavo per ribattere, ricordandogli che della noia si accorgeva solo quando era in svantaggio e mai quando stava vincendo, quando suonò il campanello e mi alzai ad aprire. Era un destino che fossi sempre interrotto ogni volta che ero sul punto di rispondergli a tono.

Alla porta c'era il colonnello Edwards del Servizio Segreto. Era arrivato da due giorni per collaborare con me sull'inchiesta per la morte del professor McNulty. In realtà, più che collaborare, stavamo indagando parallelamente sullo stesso caso. C'era, infatti, fin dall'inizio, una rivalità faticosamente mascherata nella nostra associazione, e ambedue procedevamo per strade separate, ciascuno lavorando su quegli aspetti che riteneva più significativi. Avevamo stabilito di incontrarci nel mio ufficio ogni mattina per confrontare i rispettivi progressi, ma la verità era che ognuno di noi più che a concludere in modo valido il caso, era teso a risolverlo per primo. Quella mattina mi ero già incontrato con il colonnello Edwards e mi aspettavo di rivederlo il mattino successivo; il suo apparire a quell'ora mi diede una vaga sensazione di disagio.

Era un giovane di poco più di trent'anni, davvero troppo giovane secondo me per darsi delle arie. Era bassetto e robusto, con quel non so che d'impettito che hanno spesso gli uomini di quella taglia e che non necessariamente indica sussiego. Una brava persona, suppongo, e probabilmente faceva anche bene il suo lavoro, ma m'era rimasto antipatico fin dal primo nostro incontro un paio di giorni prima. In parte era stato a causa della sua insistenza a volersi assumere la responsabilità completa dell'inchiesta, dal momento che il professor McNulty, la vittima, era stato incaricato di ricerche militari. Ma forse, la mia antipatia era nata dalla sua insopportabile arroganza. Riusciva a guardarmi dall'alto in basso, sebbene fosse più basso di me di mezza testa.

«Ho visto la luce accesa nel suo studio mentre passavo», furono le sue prime parole.



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